La nostra storia
Fonte: Enciclopedia Bresciana – Mons. Antonio Fappani
Lo Stemma
Lo stemma, approvato da Vittorio Emanuele III il 26 febbraio 1928, è "partito: al primo dei Santi Gervasio e Protasio con la Vergine ed il Bambino; nel secondo azzurro a tre spighe d'oro poste a ventaglio legate di rosso. Ornamenti esteriori da Comune".
Abitanti
"Sangervasini": 480 nel 1493; 1600 c. nel 1565; 1600 nel 1572; 2000 nel 1610; 856 nel 1637 e nel 1658; 1239 nel 1714 e nel 1727; 1223 nel 1775; 1322 nel 1791 e nel. 1802; 1303 nel 1819; 1496 nel 1835; 1500 nel 1848; 1494 nel 1850; 1630 nel 1858 e nel 1868; 1801 nel 1875 e nel 1887; 1855 nel 1898; 1850 nel 1908 e nel 1913; 2032 nel 1926; 2200 nel 1939; 2396 nel 1949; 1600 nel 1963; 1400 nel 1971; 1300 nel 1981; 1254 nel 1991; 1285 nel 1997; 1476 nel 2001; 2469 nel 2011; 2673 nel 2023.
Storia
La presenza umana è accertata fin dalla preistoria: reperti ceramici dell'età del Bronzo vennero trovati a S del paese e sono conservati nel Museo di Manerbio. Altri reperti del genere di industria litica sono venuti alla luce nel 1976 e nel 1984 in località Casacce. Il territorio mostra segni di una centuriazione romana molto antica. La convalida della presenza romana è poi data da reperti ceramici, vitrei, bronzei e tessere di mosaico venuti alla luce nel campo Dossello in località Casacce nel 1976 e 1978. Essi confermano la presenza di una villa romana databile fra il I sec. a.C. e il II sec. d.C. Analoghi materiali ceramici, metallici e vitrei riferibili ad un insediamento romano databile fra il I sec. a.C. e il I sec. d.C. sono comparsi nel 1986 in località Motta. Dalle Casacce poi è pervenuta ai Musei di Brescia una iscrizione votiva su ara in calcare, dedicata a Giove Ottimo Massimo da Caius Laetorius Vopiscus. Sempre alle Casacce sono venute alla luce nel 1976 tombe di epoca incerta con reperti ceramici. Il Mommsen non ha dubbi nell'attribuire S. Gervasio, come tutte le località circostanti all'arteria Brescia-Cremona, al Territorio bresciano. Anche se non molto abbondante è la documentazione lapidaria dell'epoca romana, i reperti fanno ritenere probabile la presenza di un insediamento già a quel tempo. A nord dell'abitato passava il 41° miles della centuriazione da N a S, secondo l'ordine dei decumani ed il 26° muovendo da Oriente verso Occidente, secondo l'ordine dei cardini. Se il Caio Letorio Vopisco ha fatto pensare ad un veterano insediatosi nella zona, altri hanno espresso l'opinione che, con Alfianello, le Casacce e S. Gervasio siano appartenuti al fundus del celebre Alfeno Varo. Un fundus, del resto, che potrebbe essere entrato a far parte del demanio pubblico, per riapparire in epoca longobarda, suddiviso in varie corti feudali sviluppatesi all'epoca dei Franchi. Leggende raccolte o inventate da certo prete Stefano Marini vogliono che il paese sia stato fondato da certo Gervasio figlio di Comino della Corte alla morte del quale i tre figli si divisero la proprietà in tre parti. Le proprietà furono chiamate Corti. A Gervasio toccò un fondo nel territorio che prese poi da lui il nome sul quale fece costruire "molti luoghi da habitar". Un giorno Gervasio trovatosi a Brescia, si imbattè in S. Barnaba e sentendolo predicare si fece "buono et perfetto cristiano" edificando una chiesa dove egli pregava giorno e notte. A questa chiesa arrivò ispirato da Dio anche S. Anatalone che vi celebrò messa comunicando 35 persone. Ciò scatenò l'ira di pagani cremonesi, suoi parenti che, legato Gervasio, lo trascinarono all'Oglio e il 22 luglio ve lo fecero annegare. Il giorno seguente il corpo del martire fu portato a seppellire nel suo oratorio di casa, dove inutilmente cercò di levarlo nell'anno 341 il vescovo S. Onorio, il quale «andò con gran gente che vi era anco il Duca di Savoia, il Marchese di Monferrato, il Conte d'Italia et molti altri Signori» a levare il corpo del martire, e non potendolo trasportare a Brescia «gli fece far una chiesa chiamata S. Gervasio et vi lasciò il Santo corpo et ogni settimana gli andava a dir messa. Da questo si è chiamata la terra de S." Gervasio et la famiglia de quei dela Corte sempre si chiamano da S. Gervasio».
La storia però è più prosaica. Passato al vescovo per donazione di un qualche duca o re longobardo il grande fondo, e in parte da lui assegnato ai canonici del Capitolo della Cattedrale (che governarono sul territorio delle Corti di S. Gervasio da assoluti padroni fino alla seconda metà del sec. XIV), venne poi probabilmente nei sec. X-XI suddiviso in alcune corti feudali cioè aziende agricole complete, composte da contadini e da artigiani legati alla famiglia del padrone come "manenti" (donde anche il cognome di famiglie locali) che delle corti stesse subivano la sorte in caso di passaggio di proprietà. Come ha osservato Paolo Guerrini, di due di tali corti «resta un vivo ricordo nel nome della parte occidentale del paese che ancora si chiama il Corvione, in dialetto Coriù, nome evidentemente derivato da "curtis vetus" (corte vecchia) e quindi in opposizione ad una "curtis nova", che dovrebbe essere stata staccata da quella vecchia e che probabilmente era costituita dalle Baite e Casacce, nella parte più bassa del territorio sul fiume naturale del Lusignolo verso Milzano». Osserva ancora P. Guerrini come «intorno al Corvione deve essersi formato il centro primitivo del paese, nel secolo VII e VIII, e in questa corte vecchia deve essere stata eretta e dotata anche una cappella dedicata ai due martiri Gervasio e Protasio, la quale forse sorgeva nella vicina località che ancora si denomina il sagrato vecchio, perché la parola sagrato o cimitero è indicazione sicura e precisa dell'esistenza di una chiesa, e questa chiesa primitiva non può essere che la prima cappella dei Santi Gervasio e Protasio, dipendente dalla pieve di Pontevico. La corte nuova, suggerisce ancora Paolo Guerrini, si costituì - non sappiamo quando né per quali ragioni - nel territorio delle attuali cascine Baite e Casacce, due nomi che indicano chiaramente povere stamberghe di contadini mandati a lavorare in quelle lontane foreste, quando molta parte del territorio di S. Gervasio fu donata al Capitolo della Cattedrale di Brescia che la tenne poi fino al 1797 e dove i canonici passavano le vacanze autunnali».
La chiesa di S. Gervasio, poi, divenne il punto di riferimento della vita religiosa del territorio, dotata, con tutta probabilità dal vescovo, di un suo beneficio. Per questo venne chiamata S. Gervasio delle Corti; questo nome, almeno nei documenti finora conosciuti, compare nel 1158. In questo tempo, oltre alla chiesa, il paese deve avere avuto anche il suo castello o il suo borgo fortificato sorto probabilmente nei tempi delle ultime invasioni ungare. Di esso, che si trovava al centro del paese su una leggera altura, sono rimaste tracce solo nel toponimo, giacché già nel 1610 il Da Lezze lo diceva "del tutto dirocato et senza torre" e nel sec. XIX ne venne interrata la fossa e l'area ricavata adibita ad orti.
Se non si può far affidamento sul diploma con il quale Ottone I nel 736 infeuda Tebaldo Martinengo, sicura è l'infeudazione del gennaio 1138 del vescovo Raimondo ai fratelli Pietro e Lafranco Martinengo. Il nome dei Martinengo ricorre poi di frequente sui documenti riguardanti il paese. Lo stesso dovette avvenire dei Maggi che pure compaiono nella storia di S. Gervasio e di altri ancora come i Sangervasi, potente famiglia estintasi nel sec. XIX ed altri. Il vescovo tuttavia mantenne possedimenti, come ricordano i registri della mensa vescovile. Nell'ottobre 1293, infatti, un Venturino detto Camuza e un Martino da Azzano pagano al vescovo le decime per un prato nel territorio al cantone Montenaro. Processi tenutisi nel sec. XIV rilevano come il Capitolo della Cattedrale fosse esente da ogni controllo del comune cittadino. Tuttavia gli enfiteuti e poi anche i manenti, emancipatisi almeno in parte dalla proprietà vescovile, con la ripartizione dei beni del vescovo del Capitolo e dei grossi feudatari, creano nel sec. XIV una loro vicinia, organo di governo in mano ai capifamiglia e nel sec. XV il comune è l'organo amministrativo del territorio.
Vicino ad una delle vie più importanti, quali la Brescia-Cremona, e situato in un territorio fertile, S. Gervasio fu esposto a frequenti passaggi e a saccheggi di truppe in guerra. Di essi non abbiamo molte notizie. Il solenne giuramento di fedeltà a Venezia, sottoscritto nel giugno 1497, fedeltà durata per secoli, costò momenti di gravi sacrifici e pericoli. Nel 1445, passato l'Oglio tra Seniga ed Alfiano, S. Gervasio fu una delle prime terre saccheggiate dall'esercito milanese. Il 27 marzo 1442, come registra il cronista Cristoforo Soldo, «Passato l'Oglio ad Alfiano (i ducheschi cioè i milanesi) vennero in gran numero anche su quel di Pontevico: ma anziché avvicinarsi alla fortezza, si volsero contro i Comuni della Quadra, specialmente sopra Alfianello e San Gervasio: in queste due delle nostre terre fecero gran bottino di roba e di bestiami e, appiccato poi l'incendio alla maggior parte delle case, se ne partirono conducendo seco ben 800 prigionieri». Nel 1452 veniva di nuovo occupato dai milanesi che ritornarono nel mese di giugno. A decenni di distanza, il 14 agosto 1484, si consegnava di nuovo ai milanesi uniti ai napoletani e dovette ospitare il duca di Calabria; nel settembre venne invece raggiunto da una compagnia di balestrieri venuti a cavallo.
Nonostante nel secolo XVI il paese debba assistere ad un continuo passaggio di eserciti, registra proprio ora un notevole sviluppo economico, tanto che persino in Roma si crea una colonia di mercanti sangervasini tra i quali sono da ricordare: Bartolomeo Zanca, Defendente Beltrame e Paolo Loda. Il numero delle anime era già di 1500, mentre due secoli prima, intorno al 1340 S. Gervasio era annoverato fra le terre deserte e disabitate; forse vi infieriva anche la malaria, contro la quale venne introdotta poi la devozione a S. Nicola da Tolentino. Sviluppo che è anche sociale e religioso perché proprio alla fine del secolo viene affrontata la costruzione di una nuova chiesa parrocchiale. Già nel 1573 il Comune dichiara di spendere ogni anno 7 planet "per mantenere li Reloy, che sono due: uno sul portone del Castello, l'altro sul campanile". Quello del castello sarà nominato ancora nel 1731. Si ha inoltre notizia di scuole affidate ai cappellani. Il Da Lezze, nel Catastico del 1610, non non può rilevare come la campagna «è delle buone, che sia nel Bresciano così da pan, vin, come da lino et altro, et vale cadaun piò delle migliori 200 scudi». La comunità contava 200 "fuoghi" per 2000 anime, delle quali 800 utili. Tra i nobili ricordati i Sangervasio, i Marini, i Cazzago, i Peroni, gli Avogadro. Molti i contadini possidenti: Baldini, Zanetti, Morenzoni, Loda, Zanchi. Il capitano veneto annotò che molti lavoravano la terra, ma «la maggior parte della povertà si sostenta col lavorar lini». Tra le strutture economiche vi erano una "masenadora de linosa" ed una "pestadora da riso"; tra i mulini, uno del Comune e due privati, posti sulle rogge Luzzaga, Longhena e Lusignolo «che viene dalla lama del Verno e va a metter capo nella Mella». Vi era un po' di bosco dei signori Zanchi «che può esser doi piò di terra, dal quale si cava legne da opera e d'abbruggiare». Nell'organizzazione amministrativa, consolidato nei sec. XVII-XVIII, S. Gervasio faceva parte, con Alfianello, Seniga e Bassano, del vicariato civile di Pontevico.
Parentesi micidiale è la peste del 1630-1631 che vede ridotti gli abitanti da 2000 nel 1610 a 856 nel 1637 con una diminuzione di ben 57 per cento. Impressionante la documentazione raccolta da Renato Savaresi che, nel registrare i testamenti del tempo, indica la desolazione dei luoghi dove vengono redatti: portici, capanne di frasca, baracche ecc. Ma dal flagello il paese si rimette, finendo la costruzione della chiesa e sviluppando un'intensa attività economica che è segnata anche dall'introduzione di nuove culture. Inizia nel 1737 la pratica delle marcite invernali, mentre avviene il potenziamento della coltura del lino e della bachicoltura. Non mancano di nuovo anni difficili. Nel 1701, per due volte (dal 14 al 27 ottobre, e dal 25 novembre all'11 dicembre), S. Gervasio è occupato dalle truppe imperiali, comandate dal principe Eugenio di Savoia, con danni e distruzioni. Nel 1702 e nel 1705, seguono altri saccheggi e requisizioni di vettovaglie. Finalmente nel marzo 1707 l'esercito francese, sconfitto, si ritira e cessano le scorrerie dei belligeranti. E non mancano epidemie di uomini e di animali come ad es. l'afta epizootica che nel 1711-1712 fa strage di bovini. Nonostante ciò e pur nella crisi crescente che colpisce la Repubblica veneta, S. Gervasio presenta un volto non certo del tutto negativo. Nel 1750 all'epoca del grande Estimo del Territorio, a S. Gervasio si contavano ben tre notai, un chirurgo, un sensale, vari sarti e tessitori per contadini, che non disdegnavano però di lavorare anche la terra. Tutti questi erano esenti da imposte perché esercitavano un'arte, cioè erano "liberi professionisti". In compenso le tasse pesavano in modo ingente su un certo numero di artigiani: ferraro (3), marengone (2), malghesetto di poche vacche, acconcia pignatte, speziale (il più ricco del paese). La Camera fiscale di Brescia riusciva ad ottenere dai sangervasini ben 2860 lire (Bassano ne forniva 1890 e Bagnolo 7960). Erano annoverate una macina e due mulini a due ruote. La rivoluzione giacobina del 1797 cambia molte cose anche a S. Gervasio. Assieme all'incameramento dei beni ecclesiastici di tutti i beni del Capitolo (quasi mille piò delle Casacce) acquistati poi da Luigi Torre, tramontano antiche casate nobiliari (Valotti, Sangervasio, Brognoli, Archetti), sostituite dai nuovi padroni: i Calzoni, i Passerini, i Ferrazzi, i Vertua. Le guerre napoleoniche portano, assieme alla mobilitazione militare fino allora sconosciuta, carestie ed epidemie. San Gervasio subisce poi l'umiliazione di essere dal 1810 al 1816 declassato a frazione di Bassano Bresciano. Non manca la reazione degli abitanti contrari alla novità. Lo stesso arciprete nel 1802 capeggia l'anacronistica protesta degli antichi originari che rivendicano il mantenimento dei loro secolari privilegi. Non mancano tuttavia dei segni positivi come la costruzione di un nuovo cimitero (1810), la creazione di una scuola comunale e soprattutto un'assistenza più diretta alla popolazione colpita dalla grave crisi economica del 1815-1819. Nel 1815 infatti don Giov. B. Ferrazzi, come ricorda una lapide posta all'altare del Suffragio, con testamento del 24 gennaio 1815 lascia 100 some di miglio per i poveri dando inizio a quello che fu chiamato il Montegrano. D'altra parte la presenza sempre più determinata di una borghesia imprenditrice va creando nuove categorie di braccianti e salariati e nuove sacche di povertà che esigono nuove forme di assistenza. Nemmeno la scuola riesce ad avere strutture sane ed efficienti dato che nel 1855 il parroco, che è anche direttore scolastico, e gli insegnanti non possono non rilevare come «la scuola maschile è troppo umida e gelida, tanto che i teneri fanciulli abbrividiti dal freddo prorompono in dirotto pianto, essendo ubicata nel locale a nord della chiesa, mentre la sala scolastica delle fanciulle (ora cascina Vescia) tiene una soffitta tutta logora da cui cade continuamente del sudiciume, essendo in un locale da mandriano...». Con altre ricorrenti malattie nel 1836 compare il colera che ritorna nel 1855 mietendo un centinaio di morti. Al colera si aggiungono altre malattie e soprattutto la pellagra, il tifo e il vaiolo. Le ricorrenti crisi agricole esigono specie nel 1857 interventi del comune e della parrocchia. Gli avvenimenti risorgimentali passano sul paese senza incidere molto. Fra i patrioti si contano l'arciprete don Marchioni e Gervasio Martinelli che, nel 1851 è l'unico sottoposto a sorveglianza speciale per "le sue tendenze del lato politico". Il 12 giugno 1859 un distaccamento di artiglieria austriaca accampatosi alle Cicogne, seguito poi nei giorni seguenti da molte altre truppe (circa diecimila soldati) della divisione Sternberg, requisiscono fieno, legna, viveri e vino assieme a carriaggi seguiti poi da truppe dell'esercito franco-piemontese. Dopo la battaglia di Solferino e S. Martino, specie sotto la guida dell'arciprete Marchioni, vengono raccolti filacce e materassi per i feriti ricoverati negli ospedali di Manerbio, Pontevico e Verolanuova. Il paese subisce tuttavia le requisizioni di derrate e di carri, ma tranne che don Marchioni, non partecipa all'esultanza per la liberazione dal dominio austriaco. Quando il 12 agosto 1859 i deputati del comune sono chiamati a presenziare con sciarpa tricolore al passaggio di Vittorio Emanuele II si danno tutti ammalati. Più folcloristico che efficace è il Corpo della Guardia Nazionale che l'arciprete Marchioni benedice. E ancora don Marchioni che, nonostante i divieti vescovili, canta il Te Deum il giorno dello Statuto del 1861. Ma anch'egli, di fronte alle leggi antiecclesiastiche del nuovo stato, si ricrederà. Pochissimi votanti, su 95 aventi diritto al voto, vanno alle urne nel febbraio 1860, mentre a sindaco viene, per nomina regia, indicato Gervasio Ferrazzi. Come giustamente sottolinea Renato Savaresi: «Stava per nascere l'Italia unita e indipendente. Ma i sangervasini, impegnati a coniugare il pranzo con la cena, non se ne accorsero. Avevano ben altro a cui pensare». In effetti seguono anni di grande povertà, nei quali dominano la pellagra ed altre malattie e lo sfruttamento della manodopera. Non per nulla nel giugno-luglio 1882 S. Gervasio è fra i paesi che, al grido "la boie" venuto dalla campagna mantovana, partecipa ai primi scioperi agrari del 1882. In effetti durante l'800 S. Gervasio è fra i paesi più coinvolti nella rivoluzione agraria che vede affermarsi proprietà capitalistiche a grandi imprese agrarie, specie alle Casacce ecc. che moltiplicano il fenomeno del salariato agricolo e aumentano la povertà. Non mancano tentativi nuovi, per cui nell'inverno 1867-68 l'arciprete Marchioni promuove l'istituzione di scuole serali per adulti «ma, sottolinea R. Savaresi, la situazione resta disastrosa, per l'indifferenza delle famiglie e dello stesso comune che, a fronte di una popolazione scolastica di 200 alunni, nega la necessità di un terzo insegnante». Qualche miglioramento di strade, l'illuminazione pubblica, l'ampliamento del cimitero nel 1896, l'acquisto di un nuovo orologio pubblico della ditta Tonolini di Leno e altri interventi minori sono i soli segni di progresso mentre, invece, le maggiori forze sono impiegate nell'ampliamento della chiesa parrocchiale e nei suoi abbellimenti.
La I guerra mondiale chiede vittime di giovani combattenti e un'assistenza alle famiglie dei chiamati alle armi. Il flagello viene coronato da un'altra grave disgrazia: la "spagnola", che porta con sé vittime, compreso lo stesso arciprete don Capitanio. Il dopoguerra vede una ripresa di attività. Reso onore ai propri caduti con un Parco della Rimembranza inaugurato nel maggio 1923 e con un monumento ai caduti eretto su progetto dell'arch. Angelo Albertini, viene inaugurato il 18 novembre 1923 un nuovo edificio scolastico costruito su progetto del geom. Oneste Gogna. L'organizzazione sindacale saldamente in mano ai cattolici sostenuti con equilibrio e saggezza dal curato don Giovanni Bina, l'assenza di consistenti contrapposizioni politiche, farebbero pensare a tempi più tranquilli; invece, a partire dal 1922, si succedono mesi travagliati per la resistenza opposta al fascismo nascente dai sacerdoti e dai contadini delle leghe bianche e dagli stessi abitanti del paese. Come racconta Luigi Fossati nella sua biografia di mons. Bongiorni a S. Gervasio si verificò tutta una serie di opposizioni volgari e dure contro il parroco don Ernesto Cominelli che prese un calcio nel ventre da un fascista. Ma l'ira fascista si scatenò contro don Giovanni Bina che era stato il fondatore e l'animatore delle leghe bianche fra i contadini di S. Gervasio e che aveva in pugno tutto il paese. Venne ripetutamente battuto, spogliato della veste, insultato sotto le finestre della sua abitazione, fatto oggetto di canzonacce a suono di fisarmonica, posto sopra un biroccio e fatto girare per il paese con scherno. Finché, resa impossibile la sua presenza a S. Gervasio, i Superiori lo destinarono altrove, il che si voleva ottenere. Ma anche la nobildonna Barbara Ferrazzi, la cui memoria a S. Gervasio è in benedizione, donna di grande carità e di fine educazione, figlia del nobile Ferrazzi, sindaco di S. Gervasio ai tempi del liberalismo, uno dei sindaci deposti dalla carica per la fedeltà al Sommo Pontefice, venne fatta oggetto di insulti, di minacce da parte dei fascisti locali, perché cattolica attiva e operante. Nel 1928 vennero riprese le scuole serali. Singolare l'assistenza che le famiglie del paese danno dal 1943 al 1945 ad una cinquantina di ragazzi dai 18 ai 20 anni rimpatriati dalla Libia e che, dopo aver vagato di colonia in colonia, erano in pericolo di esser portati in campo di concentramento in Germania. Due piloti americani di una fortezza volante caduta il 6 ottobre 1943 sulla cascina S. Giuseppe fra Pavone Mella e Pralboino trovano ospitalità, prima in una stalla alle Baite di proprietà di Caterina Morandi e poi, dal febbraio 1944 fino alla Liberazione, presso le suore della Scuola Materna a S. Gervasio, sebbene tale scuola si trovi al centro del paese e attigua alla sede di un presidio di SS tedesche. Implicati per aver dato assistenza a ex prigionieri di guerra alleati, il 28 novembre 1943 vengono arrestati sei giovani del paese. Alcuni giovani si dedicano a sabotaggi e al recupero di armi, mentre il curato don Franco Bettoncelli viene arrestato nella notte tra l'11 e il 12 novembre 1944 sotto l'accusa di aver assistito prigionieri inglesi. Tenuto in prigione fino alla liberazione, trova nel parroco don Carlo Zani un sicuro appoggio. Quest'ultimo non esita ad affrontare le ire dei nazifascisti, scongiurando una feroce rappresaglia minacciata contro la popolazione, per un atto di sabotaggio compiuto dai partigiani. Agitate sono le giornate della Liberazione fin dal 25 aprile 1945 quando, ritiratosi il presidio tedesco, il paese viene occupato dalle Fiamme Verdi della brigata Tita Secchi. Un gruppo di giovani sangervasini catturati dopo aver tentato di snidare i tedeschi e italiani delle G.N.R. e trattenuti come ostaggi nella cascina Cereto a Manerbio vengono liberati dopo colloqui con i tedeschi. In varie operazioni i patrioti riescono a catturare un centinaio di tedeschi e repubblicani compreso lo stesso comandante del presidio tedesco. Il tentativo del 30 aprile di liberarli, da parte di un grosso reparto tedesco, fallisce. Nella ritirata l'invasore lascia sul campo un ingente bottino.
Nel dopoguerra, anche grazie al forte sostegno dell'arciprete don Carlo Zani e del curato don Bettoncelli, le amministrazioni comunali democristiane poterono affrontare sotto l'amministrazione Gogna urgenti problemi economici e sociali, migliorando dal 1946 al 1951 la rete stradale, incanalando il colatore Lusignolo, istituendo due nuove classi nel capoluogo, ampliando l'edificio scolastico delle Casacce dove 70 alunni erano stipati in un'unica classe, avviando dal 1950, sotto la guida del sindaco Venturini, la costruzione di appartamenti, fronteggiando gli anni difficili della disoccupazione e dell'esubero di manodopera. Alla fine degli anni '50 si verifica anche per S. Gervasio il grande esodo verso Milano e il Piemonte esodo che impone una riarticolazione più rapida della vita della comunità. Negli anni '60 infatti, sindaco Battista Bertoni, gli sforzi furono concentrati, grazie alle leggi per le aree depresse, agli incentivi, ai contributi e all'esenzione decennale dalle tasse, alla creazione dei primi laboratori di confezione e calzature. Si provvide all'asfaltatura, all'illuminazione e ai servizi pubblici. Gli anni '70, sindaco il dott. Rossi e il rag. Fassoli, vennero dedicati soprattutto alla costruzione di nuove case e al miglioramento urbanistico ed edilizio delle frazioni, alla costruzione di un nuovo edificio scolastico, alla realizzazione di fognature e della rete idrica, alla costruzione di una nuova sede comunale e della biblioteca. Negli anni '80, sotto la guida dei sindaci Renato Savaresi e Mario Micheli, furono emanati provvedimenti per la conservazione dell'ambiente, la metanizzazione del comune, la ricostruzione e l'ampliamento della strada San Gervasio-Alfianello, l'asfaltatura della strada bassa per Manerbio, il parcheggio del cimitero, il completamento della rete fognaria, i campi da tennis, ecc., e venne affrontato, grazie al lascito di Gina Gibellini, il problema dell'assistenza agli anziani con un centro sociale autogestito e mini appartamenti. Gli anni '90, sindaco Gianpaolo Mantelli, hanno registrato la ristrutturazione dell'edificio scolastico, nuovi impianti sportivi, un parco giochi intitolato a don Fausto Barbieri, il rifacimento del cimitero, la radicale ristrutturazione del Municipio con ambulatorio, biblioteca, ufficio postale (1995), la piazza Donatori di sangue (1997), la palestra delle scuole elementari, nuovi alloggi e parcheggi, ecc. fino all'avvio nel 1999 di un super centro sportivo con campi di gioco, albergo, bacino per lo sci d'acqua, canottaggio, ecc. Interessanti anche le manifestazioni del tempo libero come la Sagra del pesce, promossa dalla locale Società pescatori sportivi.
Nel giro di pochi anni sono sorte parecchie associazioni di volontariato. Assieme a quelle ecclesiali più antiche sono nati sodalizi e associazioni quali la Croce Bianca, l'Avis, il Gruppo anziani, gli Amici dello Zaire, l'Aiuto alla vita, ecc.
Economia
L'ECONOMIA fu fino a pochi decenni fa eminentemente agricola (cereali, gelsi, foraggi e allevamento del bestiame), avvantaggiata dalla fertilità del suolo, ma anche ostacolata da scarsità di acqua cui si è cercato di ovviare con vasi d'irrigazione. Oltre alla seriola naturale Lusignolo, che attraversa il capoluogo, sono state create altre seriole artificiali. Già nel 1392 i canonici del duomo cedevano al nobile Fiorino Luzzago il vaso Caione per fare la seriola Luzzaga e nel 1532 cedevano al capitano Pietro Longhena la Fossassa per fare il vaso Longhena. All'inizio del '500 venne creata la seriola Gambarina e nel 1928 fu scavato il vaso Martinoni che, purtroppo, solo lambisce il territorio comunale. Più recentemente si è ricorsi a trivellazioni e a impianti di sollevamento d'acqua. Miglioramenti all'irrigazione vennero apportati nel 1930 dall'avv. Antonio Calzoni che creava tre sollevatori d'acqua inaugurati il 27 giugno 1931. Nel secondo dopoguerra il comune creò un importante pozzo artesiano. Più tardi, i terreni di S. Gervasio, come quelli di altri comuni limitrofi, usufruirono dell'acqua sollevata elettromeccanicamente da quattro pozzi collocati a Corticelle Pieve. Questi interventi hanno portato ad intensificare l'allevamento del bestiame e quindi la produzione di latte sviluppando, dapprima, piccoli caseifici e nel 1937, da parte di Angelo Prestini, del Caseificio Gervasina che, condotto poi dai fratelli Luigi e Vittorio Prestini, ebbe nel 1997 il premio Qualità per la produzione di grana padano.
Notevole sviluppo, specie nell'800, ebbero la coltivazione di lino ritenuto di ottima qualità, la bachicoltura e la produzione di leguminose da foraggio. Fra le attività collaterali all'agricoltura è da segnalare la presenza di mulini. Singolare quello della frazione Baite risalente alla seconda metà del '500 che era munito anche di un torchio per ricavare olio di semi e di una "pistadura" per togliere la pula del riso, tipica struttura artigiana per la lavorazione di prodotti agricoli. Il Da Lezze, nel Catastico del 1610 lo segnalava. Singolare la scoperta nel 1994 da parte di Eugenio Zanotti in un campo di S. Gervasio del "Solanum carolinense" una pianta perenne originaria dal Nordamerica, bellissima ma particolarmente pericolosa per la sua velenosità dannosa all'agricoltura. Complementari all'agricoltura nacquero recentemente piccole attività manifatturiere ma solo dopo il '60, grazie ai provvedimenti legislativi sulle aree depresse, si è andata sviluppando un'intensa attività così da stravolgere la fisionomia economica del paese. Nel 1995 sul territorio operavano ben 77 aziende di cui 47 artigianali con 286 addetti. L'industria copriva il 73,8 per cento della popolazione attiva, mentre i servizi davano lavoro per il 23,7; fanalino di coda, l'agricoltura impiegava solo il 2,5 per cento. Fra le iniziative industriali di maggiori dimensioni è da segnalare la Pollux, fabbrica di calzature femminili che, fondata nel 1966 raggiunse gli 85 dipendenti, ma che entrò in crisi nel 1996. Raro esempio di iniziativa fra comuni, nel marzo 1988 ebbe vita la Co.GES (Comuni Servizi) promossa da comuni della Bassa centrale organizzatisi per la raccolta differenziata di materiali riciclabili (ferro, vetro, carta, plastica).
Ecclesiasticamente
ECCLESIASTICAMENTE S. Gervasio fece parte della pieve di Pontevico. Ma se non è troppo azzardata l'ipotesi anziché prendere il nome, come di solito si ritiene, dal santo titolare del monastero di S. Gervasio oggi Badia e tanto meno dalla leggenda ricordata dal prete Marini, potrebbe averlo avuto da uno di quei "loca sanctorum" che i primi evangelizzatori milanesi erigevano a forma di specie di santella d'oggi nelle campagne, chiamando attorno ad essi i contadini sparsi nella zona. Naturalmente è una fantasticheria, come quelle del Marini e quella di Bernardino Faino, che nella parrocchiale di S. Gervasio abbia avuto sepoltura S. Rusticiano II. Dell'esistenza di una chiesa ubicata secondo Renato Savaresi nell'attuale Parco della Rimembranza vi è memoria nei documenti della Mensa vescovile del 1303 dai quali risultano tra i beni vescovili 4 piò di terra vicino alla chiesa di S. Gervasio. Qualche decennio dopo, nel 1341, risultano qui residenti «frater Orlandus e Venturinus, qui dicitur Niger de Puteo Cervelati notarius, clericus ecclesiae S. Gervasii, entrambi d'anni 60». Nel 1349 sempre i documenti dell'archivio vescovile ricordano un Gidinus q. Graziolo affittuale del vescovo per una pezza di terra a vite, situata a mattina della chiesa di S. Gervasio. Sebbene già nel Trecento esistano una chiesa dedicata all'Assunta alle Casacce e forse quelle di S. Donnino e S. Pietro che hanno lasciato il loro nome nella toponomastica locale, il Catalogo Capitolare del 1410 elenca solo la chiesa di S. Gervasio delle Corti che non è parrocchia e dipende dalla pieve di Pontevico. Non molto tempo dopo dovette nascere la parrocchia grazie ad un beneficio di una cinquantina di piò di terra con tutta probabilità messi a disposizione sia dal Vescovo, che assieme al Capitolo aveva proprietà nel territorio, sia da privati. Oscura è la storia religiosa del sec. XV. Il primo parroco di cui si conosca il nome, don Antonio Canaloni compare solo in un atto notarile. Del secondo, don Gaspare Caperoni personaggio di tutto rispetto, si sa che, pur investito di parecchi benefici, preferì nel 1493 tenere quello di S. Gervasio probabilmente senza risiedervi. Diventò nel 1494 vicario generale della diocesi. Per alcuni decenni del '500 la vita parrocchiale più che sui parroci che godono il beneficio e che spesso non vivono in parrocchia è affidata a sacerdoti da loro sovvenzionati. Una delle colonne portanti della vita religiosa deve essere stata la Confraternita del SS. Sacramento. Già attiva nei primi decenni del secolo, ha un suo altare ed un sepolcro in chiesa che il vescovo Bollani farà togliere; cura anche la chiesa in generale assieme al comune che si obbliga a mantenere la lampada al SS., i rami d'ulivo per la festa delle palme, i ceri della Madonna della Candelora e le spese per il quaresimalista. Sia il parroco don Francesco Boccaccio (1532-1545), la cui presenza è segnata solo in atti di vendita e di permuta, sia mons. Bernardino Calini (1546) che gode per pochissimo tempo il beneficio rimanendo vescovo di Segni, sia Francesco Bolino (1546) che è un semplice chierico, sia mons. Agostino Marini (1565-1572), che sarà Protonotario apostolico e che, sempre assente, ricorre a gherminelle per godere il beneficio, imbrogliando lo stesso vescovo Bollani che lo vuole residente, tutti questi da commendatari, affidando la parrocchia a cappellani da loro mantenuti, dei quali uno, Battista Loda, che non sa nemmeno celebrare, a malapena sa leggere ed ha un figlio, diventa però, oltre che parroco di fatto, anche di diritto dal 1572 al 1574. È da meravigliare che il vescovo Bollani nella sua visita del 1565 trovi una situazione morale sostanzialmente buona, con due matrimoni da regolare, non vi siano eretici o altro, non manchi la "schola" della Dottrina Cristiana, nessuna malalingua sui sacerdoti, due cappellani, uno dei quali risponde rettamente all'esame vescovile, mentre l'altro è abilitato solo a celebrare messa. In non buone condizioni è la chiesa che ha cinque altari e per la quale il vescovo ordina di allungare il coro, di rendere regolare il pavimento. Nella visita di mons. Pilati del 27 settembre viene ordinato di imbiancarne le pareti dove non sono dipinte e di sistemare il Battistero. Alle molte necessità provvede in parte il Comune che ne è in pratica il proprietario. Neanche mons. Bollani riesce a districare la situazione parrocchiale, mentre Paolo Guerrini scrive che anche i documenti dell'archivio vescovile sono molto incompleti e oscuri su queste complesse questioni; sembra però che dopo il Loda sia tornato per breve tempo il Costa, il quale a sua volta cedette S. Gervasio al Ledizzi ottenendone in cambio il beneficio di Visano. Ma nonostante ciò la vita religiosa cresce e trova appoggio sulla vicinanza degli agostiniani del convento di S. Maria della Misericordia di Pontevico, sulle confraternite. Viva è la devozione popolare come dimostrano lo sviluppo delle confraternite e i testamenti in loro favore. Ma al tempo della visita di S. Carlo il coro è sempre piccolo, manca addirittura la sagrestia, i paramenti vengono conservati nel campanile, dietro l'altare maggiore c'è addirittura la scala per salire alla torre, il battistero e il tabernacolo sono inadeguati: tutta la chiesa si presenta "indecente". In più il cimitero non è recintato. Perdura questa situazione anche nella visita del maggio 1599, quando il vescovo Marin Giorgi convoca in canonica e prospetta ai maggiorenti del paese la necessità che la chiesa venga ampliata. Davanti all'obiezione della "povertà del luogo" avanzata dai maggiorenti stessi, il vescovo insiste perché essa venga ampliata nel presbiterio e coro e che vengano aggiunte due navate laterali.
Negli stessi anni vi è un cambiamento di rotta. Escogitato l'indirizzo di coinvolgere nell'impresa anche i forestieri, allettandoli con la concessione della cittadinanza, e gli stessi cittadini di Brescia che hanno in luogo proprietà, il 13 aprile 1621 130 capifamiglia che fanno capo alla Vicinia, di fronte alla scelta se ampliare la chiesa o costruirne una nuova, con 123 voti favorevoli e 7 contrari decidono per la seconda ipotesi indicando l'area tra la piazza grande e il ponte del Lusignolo, eleggendo una commissione ristretta che provveda all'acquisto dell'area ed al finanziamento dell'opera. Alla prima necessità si arriva dopo laboriose trattative con proprietari delle case che devono esser abbattute; alla seconda vengono incontro alcuni lasciti e legati e si ricorre pure alla tassazione per la concessione della cittadinanza ai forestieri, all'autotassazione perciò spontanea degli originari, a offerte in denaro e natura, a prestazioni gratuite di manodopera e all'utilizzo del materiale recuperato con l'abbattimento della vecchia parrocchiale, della chiesa di S. Antonio e delle case abbattute per creare l'area. La costruzione incomincia probabilmente nel 1626 o nel 1627. Il 9 maggio 1627 la Vicinia è convocata per "proveder denari da spendere in cose urgenti onde ridur a qualche perfetione la fabrica... principiata senza quali l'opera restaria tutta imperfetta". Si cercano prestiti, mentre continuano i testamenti e le donazioni. Sospesi nel 1630-1631 i lavori per la peste, si infittiscono i testamenti di colpiti da peste in favore del nuovo edificio della chiesa, testamenti che continuano negli anni seguenti. Il 18 maggio 1636 il vescovo Giustiniani in visita pastorale trova le strutture murarie della chiesa finite con il battistero e la sagrestia, l'interno disadorno, ma finiti alcuni altari e la chiesa già officiata. Altri altari si aggiungono in seguito, mentre continuano lasciti. Nel 1644 viene liquidato delle sue competenze l'impresario Faustino Colosino e il 18 settembre 1647 la chiesa viene consacrata. Nello stesso anno viene creato il sagrato. Accanto viene costruita una cappella sepolcreto, viene eretto il campanile che, trovato troppo basso nella visita pastorale del 1668, viene sopralzato.
La chiesa nuova è frutto di una religiosità sempre più viva e di una vita parrocchiale maggiormente organizzata grazie alla presenza di sacerdoti che, da cinque nel 1637, vanno sempre più aumentando. Formano l'ossatura della pietà popolare i Disciplini, le Confraternite del SS. Sacramento, la più antica, del Rosario (1610) e quella del Suffragio. È don Bertolino Gorno che nei brevi anni di parrocchiato (1631-1639) riesce a portare avanti assieme al comune, nonostante gli effetti prolungati della peste, la costruzione della chiesa che viene terminata. Sotto il suo parrocchiato, collegate alla peste, nascono due nuove confraternite: quella di S. Nicola da Tolentino (che erige al santo un bell'altare nella parrocchiale) e quella del Suffragio che erige una chiesa. Anche nel decennio di parrocchiato di don Antonio Franchi (1639-1649) le cure più continue sono assorbite nella nuova chiesa e nel coprirne le spese. Di normale amministrazione sono i parrocchiati che seguono di don Giov. Maria Piscioli (1649-1659) e di don Gervasio Olivetti (1659-1693) ma la parrocchia è ben assistita prima da 5 poi da 7 cappellani dei quali 2 fanno scuola. La dottrina degli uomini è frequentata, mentre il Vespro è molto disertato per "causa della taverna". Ha bisogno di maestre invece la dottrina delle donne, mentre per il catechismo delle fanciulle verrà trovata una buona maestra in Caterina Manenti. Don Olivetti fa innalzare il campanile e manifesta una sua particolare diligenza e anche energia nell'amministrazione del beneficio. Solo tre anni (1693-1696) dura il parrocchiato di don Lorenzo Agazzi, ma sono sufficienti per abbellire la chiesa di quadri e tentare di istituire un collegio di Dimesse orsoline al quale prepara una sede. Purtroppo tale istituzione ebbe vita breve a causa della sua morte, di liti fra i suoi eredi, della guerra di successione spagnola dei primi del '700. Dopo un solo anno e poco più di parrocchiato, gli succede don Battista Mabilino.
Tempi difficili vive la parrocchia nei primi anni del '700 per scorrerie e saccheggi di eserciti; durante i quali è guida sicura dal 1697 al 1715 il parroco don Francesco Romanelli che tuttavia, pur dibattendosi fra mille difficoltà, riesce ad accentuare la vita religiosa e presentare al vescovo Badoer, in visita pastorale nell'aprile 1714, la situazione positiva di una parrocchia nella quale ci sono due cappellanie perpetue, con messa quotidiana; la Dottrina Cristiana è "ben frequentata" e "ben tenuta"; in parrocchia non esistono "inconfessi, concubini, usurai, eretici"; il clero locale comprende 8 sacerdoti, oltre al parroco, più 3 seminaristi; maestri di figlioli sono don Agostino Camisani e don Antonio Cimi, mentre per tre mesi all'anno fanno scuola alle fanciulle le sorelle Giovanna e Giulia Galli. Don Romanelli apre la Confraternita del Suffragio anche alle donne e sostiene vocazioni sacerdotali e religiose. Il suo successore don Rocco Mendioli (1716-1742) spende energie ad erigere la chiesa del suffragio (1733) e ad abbellire la chiesa di soase e altari di marmo. Molte migliorie vengono dedicate alla parrocchiale e alla canonica da don Andrea Pilenghi (1742-1762) oltre alla costruzione del sagrato e della nuova sagrestia, opere completate dal suo successore don Girolamo Filippini parroco dal 1762 al 1776. Passa tra continui litigi e notevoli assenze e finisce tragicamente il ministero di don Eugenio Canori (1776-1792) che viene perfino sospeso a divinis per due volte nel 1783 e 1784 e che lo vede ribelle alle legittime ordinanze dei suoi superiori. Morirà ucciso da un suo parente e suo socio di affari. Nei soli due anni e tre mesi di incisivo parrocchiato (1792-1795) don Pietro Leali riesce a migliorare l'arredamento della chiesa e a pacificare gli animi disturbati dalle vicende del predecessore.
Anni fra i più difficili la parrocchia visse alla fine del '700 e agli inizi dell'800 con l'avvento della Repubblica Bresciana del 1797, i tempi napoleonici e il passaggio alla dominazione austriaca sotto l'arciprete don Paolo Stabile (1795-1835). Dopo il suo ingresso avvenuto nel febbraio 1796, a distanza di poco più di un anno, nell'aprile 1797 il parroco vede la soppressione del beneficio parrocchiale, delle confraternite, il trafugamento di calici e suppellettili, la requisizione delle campane, la sconsacrazione della chiesa del Suffragio. Eppure don Stabile, come scrive Renato Savaresi, riesce a muoversi con realismo e al contempo con energia contrapponendosi alle autorità amministrative, alla fabbriceria e anche ad alcuni sacerdoti, due dei quali diventati consiglieri comunali. Nonostante le difficoltà di ogni genere, nel 1799, istituisce la Via Crucis a S. Gervasio e nel 1810 alle Casacce, nel 1803-1810 provvede un nuovo concerto di campane della ditta Soletti, promuove nel 1810 la nascita del nuovo cimitero, provvede la chiesa della nuova pala dell'altare maggiore, dota la chiesa dell'altare di S. Nicola e dell'apparato delle Quarantore, amplia nel 1812 la canonica, migliora il beneficio parrocchiale, opere tutte che gli attirano critiche degli stessi sacerdoti locali. Direttore scolastico, si batte per un insegnamento il migliore possibile. Si batte, sia pure in senso paternalistico, per lo sviluppo agricolo e nel 1808 pubblica un "Ragionamento sull'economia rurale" (Brescia, Spinelli e Valotti, 1808). A quello di don Stabile succedono due parrocchiati che segnano la struttura definitiva della parrocchia di S. Gervasio. Quello di don Tommaso Marchioni (1836-1873) è denso di iniziative. Come scrive Renato Savaresi, egli avvia l'esperienza degli oratori - maschile e femminile - diretti da due sacerdoti, con propria sede nella chiesa della Disciplina, vicina alla canonica. Accanto a quelle già fiorenti del S.mo Sacramento e del Suffragio, nel 1870 promuove la rinascita della confraternita del Rosario. Ravviva le consuetudini devozionali (la festività di S. Nicola, la funzione delle 40 ore, la devozione della Via Crucis) e cura in particolare l'insegnamento della dottrina cristiana: il parroco, prima di far l'istruzione catechistica al popolo, interroga sempre i fanciulli, e spiega le cose principali più necessarie. Cure particolari riserva alla chiesa parrocchiale restaurando la cupola della torre (1842); rinnova la pavimentazione; provvede all'acquisto di un organo Serassi (1855). È sensibile, come direttore scolastico, alle condizioni delle scuole sia maschile che femminile per cui chiede con insistenza strutture adeguate ed inoltre istituisce scuole serali per adulti. Nel colera del 1855 che miete 100 vittime è presente sia nell'assistere sia nel confortare. Si schiera a favore delle famiglie contadine strappando per loro aiuti. Nel giugno-luglio 1859 si prodiga nell'assistenza ai feriti nella battaglia di Solferino e S. Martino. Schieratosi dapprima, grazie anche all'amicizia con il can. Vincenzo Giuseppe Luzzago, con il clero liberale, canta il Te Deum per l'Unità d'Italia e benedice nel 1861 la Guardia Nazionale, salvo, dopo le leggi eversive, cambiare orientamento. Sotto il suo parrocchiato si svolge l'esperienza mistica di Martina Migliorati (1821-1879) che egli segue con trepida attenzione annotandone in un preciso e dettagliato diario le virtù eroiche e le doti soprannaturali. Il manoscritto dalla prosa limpida e scorrevole e dall'elegante periodare, evidenzia la sua vasta cultura, coniugata ad un soffuso misticismo.
Altrettanto intenso e lungo il parrocchiato di don Domenico Marinoni (1873-1914) che Renato Savaresi indica come vulcanico promotore di iniziative per il miglioramento del decoro della parrocchiale e dell'educazione della gioventù; senza ombra di esagerazioni, a suo riguardo si può parlare di genio organizzativo, sorretto da un'energia inesauribile e da una straordinaria capacità di coinvolgimento dell'intera comunità, per il raggiungimento dei suoi alti scopi. In tal senso, è il miglior parroco che S. Gervasio abbia mai avuto. Nel 1880 apre, assieme al curato don Bontacchio, un piccolo oratorio maschile e nel 1882 quello femminile. Soprintendente alle scuole elementari, nel 1902 favorisce la nascita della scuola materna. Presidente della Congregazione di Carità, è sensibile ai problemi materiali dei suoi parrocchiani. Nel 1887, per suo impulso, sono attivate le cucine economiche, che assicurano un pasto gratuito ai più poveri. Nel 1896 fonda la Società Operaia di Mutuo Soccorso e poco dopo (1902) provvede la comunità di bagni pubblici per la cura dei pellagrosi. Partecipa alle vicende nazionali del suo tempo. Fervente patriota, nel marzo 1896 apprende con strazio la disfatta di Adua e testimoni osservano copiose lacrime scendere dal suo viso. Nel giugno 1882, assiste sgomento al primo sciopero dei lavoratori agricoli, con disordini e schiamazzi per le vie del paese. Con equilibrio e saggezza, incoraggia l'accordo tra le parti sociali. Il 19 aprile 1907 si fa portavoce dei contadini dipendenti, che chiedono un nuovo patto colonico. Cure particolarissime dedica alla chiesa parrocchiale allungandola due volte nel 1881-1882 e nel 1894, facendola decorare, illuminare elettricamente (1899) e provvedendo un nuovo concerto di campane e un nuovo orologio. Inoltre restaura la canonica, la chiesa della Disciplina. Nonostante i tempi di crisi don Marinoni nel 1881-1882, su progetto di Giuseppe Pellini, allunga la chiesa con un nuovo presbiterio e coro e rinnova la navata. Nel 1894-1895, su progetto del capomastro Giuseppe Pellini di Lovere e con la supervisione dell'arch. Melchiotti, su esecuzione della ditta Gaffuri di Manerbio, la navata viene di nuovo prolungata sul davanti, innalzata nel tetto e provvista di una nuova facciata. Nel 1901 Maria Domeneghini Ferrazzi acquistò un edificio e lo fece adattare a scuola materna con un'aula per una classe di scuola elementare. A reggere l'istituzione la signora Ferrazzi volle le figlie della carità di S. Vincenzo, o popolarmente cappellone, per ricordare il figlio morto a Napoli durante il servizio militare, assistito da quelle suore. Le figlie della carità giunsero il 28 ottobre 1902 e assunsero la direzione dell'oratorio femminile, realizzarono un laboratorio per insegnare a cucire e ricamare destinato alle giovani del paese. Dal lanificio Marzotto di Manerbio le suore ottennero di poter dare lavoro alle donne che, a cottimo, rammendavano le stoffe tessute dai telai della fabbrica. Ancora nel 1901-1902 viene fondato il primo oratorio con teatrino e locale bagni. Don Marinoni acquista inoltre la casa del curato (1913), predispone a sue spese il progetto della nuova chiesa del cimitero. La sua canonica è approdo di personalità di spicco come il sen. Angelo Passerini, mons. Giacinto Gaggia, mons. Geremia Bonomelli, mons. Domenico Ambrosi, p. Paolo da Lucca vescovo poi di Pesaro, ecc. Quattro anni solo, dal 1914-1918, è il parrocchiato di don Francesco Capitanio che continua la linea del suo predecessore sostenendo le istituzioni già esistenti e promuovendone di nuove quali la società della Buona Stampa, la Biblioteca Circolante, le Conferenze Religiose, la Scuola serale e festiva per i giovani che non hanno completato l'obbligo scolastico, l'Unione Popolare per la promozione sociale delle classi meno abbienti, la Società di Sant'Antonio, l'Opera delle Madri Cristiane, la Società delle Figlie di Maria, la Lega dei Padri di famiglia. Grande slancio di carità riserva ai soldati in guerra e alle famiglie povere, alienandosi però alcuni maggiorenti con la sua determinazione e intransigenza. Diffusasi la spagnola, si dedicò tutto all'assistenza dei colpiti, morendone egli stesso.
Il parrocchiato di don Ernesto Cominelli (1919-1934) è sotto il segno di una decisa avversione al fascismo. Tra l'altro dà vita nel 1927 al bollettino parrocchiale dal titolo "La famiglia parrocchiale di S. Gervasio. Periodico mensile". La dedizione alla parrocchia gli tronca le forze e nel 1934 rinuncia alla parrocchia. Già curato di don Cominelli, gli succede don Battista Galli (1935-1943) che, come scrive Savaresi, nel tempo riesce a conferire alla realtà parrocchiale una struttura organizzativa efficiente, solida e capillare, con un fiorire ininterrotto di iniziative, con il rilancio e il potenziamento delle associazioni cattoliche, validamente coadiuvato da un folto gruppo di collaboratori laici, di cui cura assiduamente la preparazione, spronandone senza tregua l'impegno e lo zelo. Appena egli fu entrato in parrocchia, la signora Barbara Ferrazzi donò un edificio per creare l'oratorio. Grazie al sostegno finanziario del comm. Francesco Gogna, ha luogo il restauro generale e la decorazione completa dell'interno della chiesa parrocchiale con gli affreschi del pittore Vittorio Trainini; opere che per imponenza e valore resero opportuna la riconsacrazione del tempio, avvenuta il 16 novembre 1940. Gli ultimi mesi di guerra e gli anni della ripresa videro la parrocchia, sotto la guida del nuovo parroco don Carlo Zani (1943-1963) e dei curati fra i quali don Francesco Bettoncelli, al centro oltre che della vita religiosa, anche di quella civile e sociale. E ciò non solo come si è visto nella Resistenza ma anche nella ricostruzione democratica. Nascono nell'ambito della parrocchia le ACLI e il CIF (1946), don Zani come sottolinea R. Savaresi «nonostante le ristrettezze dei tempi, realizza l'impianto elettroventilatore per i mantici dell'organo, il nuovo lucernario per la cupola del presbiterio, rinnova il tabernacolo, restaura il cinema teatro, realizza il nuovo pavimento del presbiterio e coro e la pavimentazione in porfido del sagrato e delle adiacenze della parrocchiale, e provvede di un rivestimento con lastre di botticino la base delle pareti interne della chiesa. Con sollecitudine paterna entra in tutte le case, visita tutte le famiglie. Conosce uno ad uno tutti i suoi parrocchiani, s'interessa ai loro problemi, ne condivide le gioie e i momenti di sconforto. Sempre presente nell'ora del bisogno, sempre disponibile». Con grande zelo coltiva vocazioni religiose e promuove il culto dell'Eucarestia e la devozione alla Madonna. Quando alla fine degli anni '50 il paese si spopola tiene i contatti con ogni cura con gli emigrati.
Più raccolto è il parrocchiato di don Angelo Uberti (1963-1977), agitato da rapporti difficili interni alla parrocchia, ma condotto da lui con prudenza ed equilibrio e anche sostenuto da opere di miglioramento della chiesa (con la fusione anche di un nuovo concerto di campane), e della canonica. Sotto il parrocchiato di don Francesco Falsina (1977-1985) S. Gervasio vede realizzarsi, oltre ai restauri della facciata della parrocchiale e la sistemazione dell'ex cinema teatro, un nuovo moderno oratorio costruito su progetto del geom. Francesco Montelli, inaugurato il 4 ottobre 1980. Assieme si allarga il respiro missionario della parrocchia attraverso il gruppo "Amici dello Zaire" ed il gemellaggio con la missione di Banga, nello Zaire. Nuovi sviluppi alle opere parrocchiali vengono condotti da don Domizio Angelo Berra, parroco dal 1985 per il decoro della parrocchiale, la funzionalità dell'oratorio, l'approntamento di nuove aule di catechismo, il centro comunitario nella ex casa del curato, il restauro dell'organo Serassi. Nel 1996 la parrocchia, grazie ad un grosso e documentato volume di Renato Savaresi, ha la sua storia.
Parroci
Canaloni Antonio (1482-1493); Caperoni Gaspare (1493-....); Baldini Bernardino (1520-1522); Boccaccio Francesco (1532-1545); Calini Bernardino (1546); Bolino Francesco (1546- ); Marini Agostino (1565-1572); Loda Battista (1572-1574); Costa Cristoforo (1574-1578); Ledizzi Antonio (1578-1602); Gennari Giuseppe (1602-1631); Gorno Bertolino (1631-1639); Franchi Antonio (1639-1649); Piscioli Gio. Maria (1649-1659); Olivetti Gervasio (1659-1693); Agazzi Lorenzo (1693-1696); Mabilino Battista (1696-1697); Romanelli Francesco (1697-1715); Mendioli Rocco (1716-1742); Pilenghi Andrea (1743-1762); Filippini Girolamo (1762-1776); Canori Eugenio (1776-1792); Leali Pietro (1792-1795); Stabile Paolo (1795-1835); Marchioni Tommaso (1836-1873); Marinoni Domenico (1873-1914); Capitanio Francesco (1914-1918); Cominelli Ernesto (1919-1934); Galli Battista (1935-1943); Zani Carlo (1943-1963); Uberti Angelo (1963-1977); Falsina Francesco (1977-1985); Berra Domizio Angelo (1985-2001); Don Bassini Giacomo (2001-2009); Don Brunelli Vittorio (2009-2023); Don Morandi Arnaldo Giuseppe (dal 2023).